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Auschwitz

Monumento alle vittime del campo di Aschwitz

“… le parole e le forme sono impotenti di fronte ad Auschwitz; non vi sono immagini per Auschwitz. Non vi sono simboli. Auschwitz è se stesso, la sua personalità deforme e inimitabile, vanifica le allegorie. Auschwitz, arretra nella memoria martoriata dei sopravvissuti, le sue spoglie appaiono banali rispetto alla tragedia. Possiamo riferirci ad Auschwitz, non parlarne. Solo il suo residuo resiste, traccia debolissima, la selva dei tralicci dell’alta tensione, un tessuto omogeneo spezzato da episodi funzionali, il comando, i forni, le docce di eliminazione, le baracche di tortura… ”.[1]

Il progetto per il Monumento alle vittime del campo di Auschwitz Birkenau, prese forma in risposta ad un appello dell’omonimo  Comitato Internazionale che, nel 1957,  ne richiedeva un monumento commemorativo.

La drammaticità del luogo implica il senso di un intervento plastico e architettonico inteso secondo due accezioni antitetiche. L’architettura tende a cristallizzare la situazione del campo e ad integrarne figurativamente gli elementi autentici interamente rispettati con i propri scarni parametri figurativi.

Non ci sono operazioni compositive addizionali. “…Il monumento è il campo…” con la sequenzialità delle sue aggregazioni; il terreno, la testata del binario, i tralicci, i cancelli di accesso ai crematori, sono tracce non cancellabili. La struttura architettonica si configura quale vuoto, pausa isolata tra le rovine dei crematori, puntualmente lacerata in modo da offrire punti di vista multipli. La piattaforma derivante dal rimodellamento parziale del terreno, risultato di un intervento lievissimo condotto al fine di offrire una visuale sopraelevata per coloro che accedono ad Auschwitz, è un invito al raccoglimento e ad una riflessione evocata dalle tracce ancora visibili degli strumenti dell’Olocausto.

Il vuoto architettonico della piattaforma è simbolo dell’impossibilità di razionalizzazione di un dramma indicibile. Dall’atto di rinuncia ad un intervento architettonico conciliante e “consolatorio”, consegue la focalizzazione sui segni di  espressione della memoria tangibile e crudele.

Ben diverso è il caso della scultura. Quest’ultima si esprime attraverso interventi plastici addizionali. Attraverso la rivisitazione simbolica di elementi appartenenti alla memoria non tangibile diviene espressione del dramma ri-vissuto.

Sui binari esistenti, lungo i marciapiedi dove i deportati subivano il primo contatto con la realtà del campo, elementi monolitici di cemento e tormentati ganci di ferro reinterpretano, pietrificati, il motivo dei vagoni piombati.