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Chiesa di Tor Vergata, Roma  1995

Il programma iniziale prevedeva, trattandosi di un’istituzione universitaria in cui spesso hanno luogo celebrazioni liturgico-accademiche,  la richiesta di poter ospitare un elevato numero di fedeli. La ricerca formale è stata condotta sull’idea di “muro” e sulla “copertura”, due elementi immediatamente riconoscibili e dalla forte valenza simbolica. Una riflessione preliminare ha investito la consistenza del primo e il suo rapporto con la copertura. Al “muro” sono state assegnate dimensioni rilevanti e tali da assolvere funzioni connesse allo spazio sacro, in particolare ad accogliere spazi utilizzabili per assistere alle celebrazioni.

Sorta di tecnologico matroneo, il “muro” predispone lo spazio per un notevole incremento di capienza e, grazie alla compattezza ed omogeneità del proprio fronte, denuncia se stesso divenendo emergenza simbolica di un contesto contrassegnato da un forte abusivismo. Costituito da una struttura tubolare in acciaio su cui si prevedevano ancorate lastre di vetro speciale di notevoli dimensioni, questo presenta un’apertura in sommità per tutta la sua lunghezza, che avrebbe consentito l’ingresso della luce e la sua diffusione all’interno, su una parete lievemente inclinata, entro lo spazio sacro. Uno specchio d’acqua posto in corrispondenza dell’innesto della “copertura” consente alla luce naturale la propagazione per riflessione, determinando uno spazio mutevole in cui superfici vibranti si alternano a superfici luminescenti. Nelle ore notturne, il gioco di riflessioni multiple si inverte: il bagliore interno si proietta all’esterno creando un involucro dalla  “crosta” luminescente.

Al “muro” è vincolata una sequenza di travi lignee diseguali e con inclinazione crescente che determina una superficie di copertura rigata. Lo spazio subisce un’alterazione dimensionale inversa in pianta e sezione con il progressivo avvicinamento all’altare: la convergenza delle superfici di delimitazione dello spazio interno suggerisce un crescente senso di raccoglimento dettato dalla scelta planimetrica di un impianto impostato su una forma a trapezio rettangolo; l’andamento inclinato delle travi di copertura, definisce, invece, uno spazio in continua espansione, con una forte valenza simbolica e ascetica. La progressiva compressione e dilatazione della spazialità interna consegue dalla scelta progettuale di delimitare l’involucro non  con quattro, bensì con tre superfici.

Il progetto si configura come una interpretazione delle tipologie tradizionali: coperture a capriate (impianti basilicali della Roma paleocristiana), dilatazione spaziale in prossimità dell’altare, matroneo, nartece in corrispondenza dell’accesso alla chiesa.

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